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[03] Heritage & Fashion

Pier Federico Caliari

Quaderni di 4A. Vol. 03, 30 settembre 2025

Fu in quel momento che ebbi l’intuizione… davanti a me una splendida valigia in vimini intrecciato all’interno della quale era allestito un magnifico set da pique nique. Era una bellissima architettura in miniatura, contenente altre piccole architetture. Sorta di gioco di modelli, insomma. A fianco, una sacca da golf; a fianco una borsa con il repository per una racchetta da tennis di legno applicato sulla pala esterna; a fianco, una bici con le sacche laterali, un set porta thermos, una sedia pieghevole da caccia. Lifestyle. Altra cosa rispetto all’impegno per il social housing, I’m sorry. Qui lusso e opulenza sono a volte sfacciati, ma in generale ben legittimati dall’eccellenza artigianale e dall’intuito per collezioni rivolte alle esigenze di stile di una nuova alta borghesia da Grand Tour. Tutti quegli oggetti poi, come d’incanto, mi hanno accompagnato verso l’esterno, verso la natura, gli spazi aperti, i cavalli, i Club. Mi hanno accompagnato – certamente anche grazie ai ricordi di famiglia – in una dimensione non scontata, non banale, di paesaggi di grande bellezza, incastonati nel mio magazzino delle memorie. Il primo passo verso la moda è passato per il design e per il paesaggio.

Il Museo Gucci aveva appena aperto i battenti nel 2011 e la sua visita è stata per certi versi uno spartiacque dirompente, ma anche la presa di coscienza che - dopo aver dato per anni agli studenti dei miei corsi i temi laboratoriali di progetti per una Villa e per uno Yacht, con tutto il loro instancabile lavoro sul dettaglio generato da un uso sorprendente degli ordini architettonici classici (nella Villa) e quello generato dal continuum spaziale scafo-oggetto di una carena (nello Yacht) - gran parte della nostra ricerca futura si sarebbe orientata nella direzione dell’eccellenza artistica, artigianale, stilistica in ambiente Heritage. L’unico, per noi, capace di giustificare la ricerca ed esigenza di Bellezza, Eleganza e Grande Stile, che da tre, quattro lustri è diventata la cifra della nostra azione, non solo nella scuola. Bellezza, Eleganza e Grande Stile: tre termini considerati dalla modernità sempre impropri, desueti, inadatti, reazionari, inaccettabili. Tranne che per noi che moderni, fortunatamente, non ci sentiamo.


Quindi, la moda! La moda è entrata così, coscientemente, nel nostro parco oggettuale, veicolata dal design, assieme all’architettura, agli interni, all’arte, alla musica, alla danza, alla fotografia, considerate/i tutte/i nella loro dimensione empatica e creativa. Tutto questo parco oggetti interdisciplinare può esistere per noi solo nella stretta relazione con Heritage, dove questo in realtà contiene tutti gli altri. Quindi sarebbe giusto dire Heritage & Fashion, piuttosto che il contrario. Ma il secondo suona meglio, va via più fluido. Quindi va bene così. Fashion & Heritage, ma il titolo di questo breve saggio sarà, almeno per una volta, Heritage & Fashion.

Detto questo, e cioè che l’ingresso della moda nel nostro agire teoretico e formativo è un qualcosa che è originato dalle esperienze legate all’architettura della villa e allo yacht design, e quindi da esperienze di eccellenza rispetto ai temi della Bellezza, come pensiamo di trattarel’ ‘oggetto’ moda e come, per la verità, in parte lo abbiamo già trattato?

Possiamo certamente partire dai nostri fondamentali. Cioè dal disegnare moda (disegnare con la moda o imparare a disegnare alla maniera della moda). Quindi il primo strumento di modulazione dell’oggetto riguarderebbe, fondamentalmente, il saperlo disegnare e, contestualmente, portare il nostro cervello a lavorare attorno all’enfasi geometrica del corpo femminile. Abbiamo infatti scelto di occuparci di haute couture e questo ci orienta quasi esclusivamente a operare sul corpo femminile e a disegnare con la parte destra del cervello.

Altro tema significativo che riguarda il trattamento dell’oggettomoda è la forma, come sempre, e come sempre è stato per noi: cioè affrontare l’approssimarsi ad un nuovo oggetto da relazionare con gli altri oggetti contigui (cioè appartenenti allo stesso milieu di riferimento) a partire dai suoi contenuti formali, a loro volta declinati in forme della percezione(quelle che vedo) e forme dello spirito (quelle che sento), spostando continuamente il punto di osservazione da dentro a fuori di Io Penso e viceversa. La declinazione spiritual-empatica, naturalmente è riferita ad un doppio punto di vista operazionale e creativo: il punto di vista della moda, che riguarda il disegno di un artefatto elaborato sulla base del corpo che deve allestire; e il punto di vista dell’architettura, che riguarda il disegno di un artefatto che deve contenere aria, luce, ombra, paesaggi oggettuali e naturali. Il primo ha a che fare sostanzialmente con l’azione di avvolgere un pieno. Il secondo, invece, con l’azione di avvolgere un vuoto.


Dal punto di vista dell’architettura, questo atteggiamento porta a fissare la forma come atto generativo puro e autoreferenziale sotto l’aspetto della relazione canonica tra forma e funzione. Quest’ultima – la funzione - è da considerarsi ab origine assolta e non partecipa alla definizione caratteriale e parametrica del disegno in quanto le referenzialità sono in gran parte collocate all’esterno del fatto puramente edile e distributivo. Cioè sono riposte nell’atto del disegno di un artefatto da indossare. Dal punto di vista della moda, la funzione si stempera nel comportamento (l’abito indossato e attrezzato) e si annulla nei parametri ovvi delle specificità corporee naturali del corpo nudo normalizzato in [90-60-90]. Liberata dalla relazione forma-funzione l’azione progettuale acquista inedita potenza e offre la massima libertà di disegno, imparando dal corpo femminile.

Per fare un esempio, se vogliamo dare una identità a questo genere di disegno – e soprattutto a questo genere di segno - possiamo provare a mettere a confronto i disegni di Gianfranco Ferrè con quelli di Enric Miralles. Confronto che deve essere fatto ceteris paribus, cioè a parità di condizioni formali, ovvero disegno frontale in proiezione ortogonale, caratterizzato dalla compresenza di linee diritte, di linee curve e textures grafiche. È, in effetti, fin troppo facile trovare affinità, sovrapposizioni, condivisioni, gestualità, e soprattutto autorevolezza del segno in questi due straordinari artisti.  Se fossero vissuti più a lungo sarebbe stato interessantissimo coinvolgerli in performance artistiche condivise e in collaborazione, con esiti certamente di eccellenza. Qui il disegno precede il progetto. Prima c’è l’atto sensuale e poi c’è la sua morbida tridimensionalizzazione. Prima si fa l’amore e poi si gestisce la crescita, educandola.

«Disegnare, per me, significa gettare sulla carta un’idea spontanea per poter poi analizzare, controllare, verificare, pulire, riducendo gli elementi di base a linee sintetiche e precise, innestate su diagonali e parallele, racchiuse dentro forme e figure geometriche… da stilista e architetto concepisco la moda come design

Questo era in sintesi il pensiero di Ferrè non solo sulla forma dell’abito, ma sulla forma in generale, cioè sulla forma nella sua dinamica di crescita e sulla relazione interna tra paratassi e ipotassi. Una forma che cresce per aggiunta di elementi e che poi si contrae per sottrazione delle ridondanze. L’abito di Ferrè è costruito sul corpo della donna, ma anche in modalità indipendente dall’adesione volumetrica al suo supporto in movimento.

Non si tratta però di scambiare moda con architettura e viceversa, e quindi di invertirne i ruoli. Si tratta semmai di individuare talento e autorialità, così come le sensibilità formali in termini di assonanza e isoformità. Che la formazione dell’abito nel suo farsi sia, infatti, qualcosa di rapportabile all’addizione scultorea, ci pare qualcosa di acquisito. Ed è proprio la scultura che costituisce il vero ponte formale tra le tre arti. Cioè l’operazione da plasticien la cui azione è spazialmente generativa, ma non in senso edilizio, come potrebbe indicare l’architettura con la a minuscola, cioè quella miseramente scatolare. Piuttosto in senso di estensione e manipolazione dei paradigmi spaziali dell’architettura, dove lo spazio è un continuum fluido in cui, paradossalmente, lo spigolo è a tutti gli effetti da considerarsi un incidente. È il segno di Azzedine Alaïa che ci conduce in questa dimensione, anche se in realtà quasi tutti gli stilisti di estremo talento hanno sperimentato in questo senso. Cioè nella direzione dell’abito svuotato dal corpo, come se questo fosse originariamente una centina per la formazione di qualcosa che diventa poi strutturalmente autonomo, che sta su da solo senza la necessità del pieno contenuto; che sta su con l’aria; il tutto senza forzature, senza eccessi di comunicazione. “Couture/Sculpture” titolava la mostra allestita a Roma nel 2015 a Galleria Borghese, mettendo in scena le più celebri composizioni di Alaïa con uno straordinario risultato in termini di adeguamento di forma e contenuto in unità, nel senso classico più classico. La capacità di reggere il contesto dal punto di vista eminentemente artistico, con le sue declinazioni formali e di dettaglio, di colori e proporzioni, aiuta a comprendere cosa intendiamo per relazione tra moda, scultura e architettura. Un’altra mostra, quella sull’opera di Capucci, allestita all’interno del Teatro Farnese di Parma da Emilio Faroldi e Maria Pilar Vittori nel 1996, anticipava questo filo rosso, mettendo in evidenza la potenza scultorea delle bobine di tessuto che allestivano i loro muti supporti antropomorfi in uno spettacolare rapporto intimamente scenografico con la partitura dell’invaso teatrale secentesco. Del resto, “ogni creazione [di Capucci] è concepita come un’opera d’arte tridimensionale, con linee, strutture e volumi complessi che si impongono quali sculture viventi, in movimento. Anzi, si espandono proprio come un edificio che cresce nello spazio...” annotano Alice Abbiadati e Giulio Solfrizzi su Vogue.

Ma forse, più di tutti, riesce a spiegarci meglio questa relazione una specialissima architettura, che altro non è che qualcosa di potentemente organico – una testa di cavallo, piuttosto che un corpo di donna orizzontale, se visti da fuori – inserito in  un contesto altrettanto potentemente cartesiano: parlo del volume scultoreo della Sala del Consiglio della DZ Bank di Berlino, realizzato da Gehry and Partners. Autentico capolavoro di spazio pulsante, il volume incastonato nel vuoto della corte coperta dell’edificio è uno straordinario esercizio stilistico all’interno del quale l’estetica del folding riporta all’idea di fasciame applicato per aggiunta/applicazione ad un corpo virtuale.

Ora, mettendo a sistema questi tre riferimenti plastico-grafici, ci si può rendere conto che nella triangolazione manca l’architettura scatolare, quell’architettura cioè che affronta il problema del rapporto formale con la moda prendendo la direzione sbagliata. Penso che se rapporto tra architettura e moda dev’essere, questo non potrà essere altro che qualcosa di fluido, o qualcosa di disegnato da dinamiche “eoliche”. Bene… se è vero questo, come si relazionano tra loro Heritage e Fashion (haute couture) in chiave di confronto fisico?


Cosa è Heritage?


- Nel linguaggio/senso dei valori antropologici e culturali di una società, Heritage si traduce come il corpus di risorse ereditate dal passato e che nel loro insieme costituiscono un orizzonte identitario multiscalare e un riferimento estetico in senso ampio.

- Nel linguaggio/senso della moda, Heritage si riferisce al patrimonio storico, culturale e di valori di una maison; questo comprende sia la dimensione materiale sia quella immateriale degli “oggetti” propri della maison stessa, e include il suo sapere in generale così come i suoi prodotti: dagli archivi, alle tradizioni artigianali; dai codici estetici e storia del marchio, alle collezioni e alla comunicazione strategica coordinata.

Tra Heritage nel senso antropologico di bene collettivo e Heritage nel senso identitario di una maison c’è un margine di conflittualità tra interesse diffuso e interesse privato. Il primo problema è quindi ragionare sulla loro coesistenza e sulla creazione delle condizioni affinché il secondo, concorra assieme al primo per una pubblica utilità di durata variabile. Tale pubblica utilità è il risultato di maggior Bellezza, nell’incontro tra le due anime. Quando parliamo di Patrimonio, infatti, intendiamo qualcosa di insostituibile, la cui perdita genera un vulnus gigantesco in termini di equilibri di valori. Intendiamo quindi una essenza sulla quale poggia un sistema valoriale estetico-comportamentale avente carattere di unicità. Tale unicità è garanzia di originalità e autenticità sistematicamente associate ai caratteri di antichità, rarità, eccellenza, significatività autoriale e sociale. L’insieme di questi caratteri costituiscono l’Ideale di Bellezza all’interno del quale si gioca la partita tra interesse pubblico e interesse privato nella collaborazione tra patrimonio culturale e patrimonio di brand.

Dati per buoni l’assunto e la positività etica dell’obbiettivo, proviamo a spostare il ragionamento sul piano dell’intervento sulla forma. In che modo, cioè, l’azione Fashion si relaziona con la presenza Heritage? Per capirlo, o provare a farlo, si può immaginare di introdurre un plateau di grande potenza estetica, sorta di gigantesco vassoio su cui sono disposte decine contenuti-heritage, che da almeno cinque secoli costituiscono il campo di applicazione di neuroni in movimento sia sul piano del disegno, sia su quello della letteratura. Un qualcosa a noi molto noto e per noi molto identitario su cui lavoriamo da una generazione intera: la Villa dell’Imperatore Adriano, nei pressi di Tivoli, nella campagna romana.


Perché Villa Adriana?


Perché Villa Adriana rappresenta il tutto unico e allo stesso tempo il tutto universale. Contiene, insomma, tutti i caratteri distintivi e più ampi dell’idea di Heritage, così come ha preso forma e coscienza di sé all’interno del magnifico, splendido Mondo Occidentale, negli ultimi venti secoli. Villa Adriana è architettura, è archeologia, è paesaggio, è storia, è mito, è letteratura, è suolo, è costruzione. È antica, è rinascimentale, è barocca, è illuminista, è romantica, è moderna, è cubista, è astrattista, è futurista, è dadaista. È una straordinaria narrazione poetica in cui coesistono la dimensione apollinea quanto quella dionisiaca, tanto quella empatica quanto quella razionale. È uno dei luoghi della Grande Bellezza Universale la cui caratteristica fondamentale è stata, nella testa del suo committente e dei suoi architetti, la pura sperimentazione formale. Immaginiamo poi come in essa possa dispiegarsi, adagiandosi nel pieno comfort di straordinarie viste prospettiche allungate dall’assenza delle masse originarie, lo spazio-tempo dell’haute couture attraverso sorprendenti performance di trama e ordito…

In quasi trent’anni di sperimentazioni a Villa Adriana, attraverso l’esperienza intensa dei progetti per le tesi di laurea, abbiamo attivato una molteplicità di strategie, da quelle più legate alla tradizione beaux arts dei pensionnaires francesi a quelle più leggere e allusive, certamente più adeguate ad un ragionamento sui rapporti di delta T della forma, tra lunga, lunghissima durata di Heritage, e breve, istantanea durata di Fashion. Da circa un lustro abbiamo attivato un percorso di confronto con il patrimonio archeologico che si intitola appunto Fashion & Heritage. Allestire la moda nei siti UNESCO patrimonio dell’Umanità (Villa Adriana, Acropoli di Atene e Roma Fori Imperiali).

Percorso supportato dalla presa d’atto che da circa una quindicina d’anni, molte tra le maggiori maisons sulla scena internazionale hanno cercato di costruire, con esiti diversi, un rapporto di continuità tra Grande Bellezza Ereditata e Grande Bellezza Disegnata, coinvolgendo i più significativi siti heritage del pianeta nelle loro strategie di branding. Al di là della dimensione puramente economica e ai vantaggi reciproci derivanti dallo scambio di cortesie tra stilisti e ministeri – tanti, tantissimi soldi – l’esercizio del disegno artistico dell’abito declinato sull’haute couture ha dato e sta dando risultati di grande interesse nel doppio registro della creatività artistica, da una parte, e dall’esercizio della valorizzazione del patrimonio dall’altra.

Se lavorare nel contesto totale di Villa Adriana dal punto di vista (e di partenza) dell’architettura ha consentito di testare di continuo il tema dell’aderenza materiale, formale, dimensionale e di senso con la preesistenza - oscillando tra evocazione e astrazione - dal punto di vista (e di partenza) dell’haute couture si aprono orizzonti sorprendenti nei territori dell’artisticità, intessendo con l’essenza dei luoghi un dialogo raffinato e allusivo in cui le forme restano fuori dal repertorio da pagina di trattato (seppur, anche in quel senso, la moda abbia già dato). Che cosa significa questo passaggio? Significa che l’incontro tra grandi autorialità può avvenire e dispiegarsi più nella dimensione psicologica-comportamentale e del feeling che non in quella della reiterazione iconica e recitazione di spartiti da Accademia Olimpica (sebbene l’attrazione fatale per la performance del corinzio, sia sempre dietro l’angolo e sul tecnigrafo dello scenografo medio). Con haute couture si può fare altro e inserirsi con intensità nel mondo delle forme in rovina. In che modo? Non credo si tratti di una questione di metodologia né di particolari ricette. Si tratta semplicemente di manifestazioni di talento e cioè di quella capacità di unire, ad un livello di eccellenza, intuizione e calligrafia nel seducente fraseggio con l’enigma della forma. E questo ci porta anche in tutta una dimensione teoretica che ha a che fare con l’interrogazione della parte non visibile dell’atto fondativo e cioè con il mistero della forma dissolta dal tempo e che oggi appartiene a qualche altra cosa che le è esterna. Gli occhi con cui guardare Fashion & Heritage sono quindi gli occhi dell’arte, con tutta quello straordinario dispiegamento di ineffabile generazione di Bellezza che sfugge all’espressione scatolare dell’architettura.

4A Journal
Rivista interdisciplinare di culture del progetto
ISSN: 3035-2827 (online)
Protocollo n. 1037 del 27/02/2023 del Tribunale di Milano (ITA)


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